martedì 27 gennaio 2015

Quando abbiamo svuotato la casa dei miei genitori, quella dove ho trascorso tutta l'adolescenza, per un attimo mi sono seduta del divano del salotto e ho pensato alla mia vita passata lì, al primo giorno dopo il trasloco, alla prima serata passata a guardare "Profondo rosso" alla televisione.
Poi mi sono ripresa e ho continuato il lavoro.
Da ogni armadio saltavano fuori scatole e scatole di medicine di ogni tipo, anche farmaci per curare malattie che i miei genitori non avevano, ma che, chissà perché, erano lì.
Farmaci scaduti da più di dieci anni, quantitativi quasi industriali, medicinali ormai inesistenti sul mercato.
Il babbo era ipocondriaco o semplicemente amava fingersi medico.  Avrebbe voluto iscriversi a medicina, ma le condizioni economiche della sua famiglia non gliel'hanno consentito, così ha ripiegato sull'avvocatura.
Che farne?  Sacchi di medicinali da consegnare alle farmacia per l'eliminazione.  Più farmacie s'intende, perché un po' di vergogna nel riportare tutta quella roba ce l'avevamo.

Ed ecco qua la spiegazione medica. forse, di un sospetto che ho avuto da sempre:

Esiste un legame fra l’uso massiccio di alcuni farmaci comuni, anche da banco, e un rischio amplificato di sviluppare forme di demenza, compreso l’Alzheimer. E’ quanto emerge da un maxi studio condotto sulla popolazione anziana da un team di scienziati Usa e pubblicato su ‘Jama Internal Medicine’. Il report mette sotto i riflettori i rischi “significativamente maggiori” collegati all’assunzione di farmaci comunemente usati con effetti anticolinergici a dosi elevate o per un lungo periodo. Molti anziani, spiegano gli autori del report, ricorrono a queste medicine anche senza ricetta medica.




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